Ritorno a Kasiha
Capitolo Sesto
Chi era Jo Thompson?
Jo era visibilmente irritato e faticava a mantenere l’autocontrollo degno di un ammiraglio della Royal Australian Navy. Quella che inizialmente sembrava essere una richiesta di collaborazione stava prendendo una brutta piega, assomigliando in effetti sempre più ad un interrogatorio. Taylor intuì il nervosismo di Jo e cercò di fare un passo indietro, decise quindi di non reprimere il tasto “rec” del registratore a nastro al centro del tavolo, ma di lasciare per il momento la parola al dottor Harris, uno dei più autorevoli psicanalisti di Sydney, assunto per l’occasione dal dipartimento di sicurezza nazionale che gli aveva assegnato il compito di valutare e tracciare la personalità di Jo.
“Ammiraglio posso chiamarla John?”, esordì lo psicologo.
“Faccia come crede. Ora pure con uno strizzacervelli mi tocca parlare”, brontolò Jo.
Harris ignorò il termine dispregiativo e i modi usati da Jo; sistemandosi gli occhiali sul naso e aprendo la sua agenda, cominciò con una domanda, con fare pacato e sicuro:
“John, oltre alla commissione medica del 47’, c’è qualcun altro al corrente di tutta questa storia?”
“Sally”, tagliò corto Jo senza ulteriori fronzoli.
“E chi sarebbe Sally?”, replicò il dottore.
Jo ne era quasi sicuro, soltanto a Sally aveva raccontato di quell'isola misteriosa, sebbene avesse il dubbio di aver dato troppo fiato alle tombe in qualche altra occasione, magari nel bel mezzo di una delle sue sbronze colossali. Di sicuro era certo di aver promesso all'affascinante barista del Fisherman's Bar che un giorno l’avrebbe sposata e portata in viaggio di nozze a Masiha. Insieme avrebbero contemplato il tramonto aspettando la notte stellata australe per poi fare l'amore in riva al mare, questa era l’idea. Sally dal canto suo non si era mai fatta troppe domande sull’argomento, l’importante per lei era vedere Jo felice e sereno; se a lui faceva piacere credere che esistesse un posto come quello di cui le aveva raccontato innumerevoli volte, a lei andava bene cosi. Ovviamente lui non le aveva raccontato ogni dettaglio, anche perché per descrivere certe emozioni non esistevano parole adatte, pensava. Trovarsi immerso nelle profondità marine, dentro ad una bolla d’aria, circondato da creature misteriose e da una bellissima donna, aveva certamente dell'incredibile. La consapevolezza dell’aver vissuto realmente quel tipo di esperienza, di non averla soltanto sognata, era qualcosa che in un modo o nell'altro lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni. All'esuberante rossa di Alyangula, non accennò mai nemmeno le emozioni provate alla vista del sorriso ammagliante di quella splendida donna e dei suoi bellissimi occhi neri che gli avevano rapito il cuore. Con una come Sally, era meglio non lasciarsi andare ad apprezzamenti rivolti ad altre esponenti del gentil sesso.
Bombardato di domande utili per tracciare la sua personalità, quando il dottore gli chiese se facesse uso di droghe rispose candidamente di sì, inoltre, Jo confessò che in passato aveva avuto qualche problema serio con l’alcol. Pensava che a quel punto la sua sincerità non avesse rappresentato un grosso problema, ma si accorse che l’aver ammesso l’uso di stupefacenti aveva attirato in qualche modo l’attenzione dell’ufficiale medico, perciò, il neo-ammiraglio per sfuggire da altre domande a riguardo dei suoi vizi e delle sue dipendenze, cercò di cambiare discorso lanciandosi in una accurata descrizione dell’isola di Groote Eylandt e dei suoi pescatori di perle. Inveì ferocemente contro la compagnia petrolifera che stava distruggendo l’ecosistema del Golfo di Carpentaria e affermò che, se fosse stato per lui, non avrebbe mai ottenuto la concessione per la costruzione della raffineria in un paradiso naturale come quello.
Il suo depistaggio non funzionò.
“John che genere di droghe assume?”, insistette Harris.
“Caro dottore, qualche sigaretta di marijuana. Non è mai morto nessuno, sa?”
“Presumo da sempre, o sbaglio? Esaminando le sue ultime analisi che risalgono a cinque anni fa e che per altro sono praticamente uguali a quelle del 52’ quando fu reintegrato in servizio, sembrerebbe proprio così”
Jo allungò le gambe sotto il tavolo e incrociò le braccia. Guardò fisso il dottor Harris e non gli nascose che fin da ragazzino, come tutti i suoi coetanei dell’entroterra di Darwin, fumava radici di “pituri”.
“Vede, per noi ragazzi, a quel tempo l’obiettivo da raggiungere fumando non era quello di propiziare un contatto con il divino come lo era per gli aborigeni, ma da adolescenti quali eravamo era quello dichiarato di trasgredire e di far incazzare i genitori, anche frequentando i “selvaggi”, come li chiamava mia madre”.
Incuriosito da sempre dalla misticità dei nativi, riprese la parola il funzionario del governo Taylor.
“Ammiraglio lei è credente?”
“Da giovane ero affascinato dalla cultura degli aborigeni e dalla loro adorazione al divino, come lo chiamano loro, ma io mi professo ateo e sono restio a tutte le religioni”, rispose Jo.
“Sulla sua scheda c’è scritto anglicano, però”, replicò secco Taylor.
Jo scoppiò in una fragorosa risata.
“Già, l’ho dichiarato per i miei genitori, pensi un po’”
“Si spieghi meglio per favore”
“Nel caso fossi deceduto in servizio. Quella religione me l’ha imposta mio padre da piccolo. A suon di bastonate mi obbligava a seguire quelle noiose funzioni domenicali. L’ho fatto per loro, almeno nel caso in cui avessi tirato le cuoia in battaglia non avrebbero pianto per la mia anima ma soltanto per la perdita di un figlio”, approfondì Jo.
Continuando a prendere appunti, Harris si risistemò gli occhiali sul naso e senza alzare lo sguardo verso Jo prese nuovamente la parola.
“John, avresti voglia di raccontarci qualcosa di te? Chi era John Thompson prima di entrare in marina?”
Prima che Jo potesse rispondere alla domanda dello psicologo, intervenne l’ammiraglio Edison.
“Harris scusi un attimo. Ammiraglio Thompson ci deve scusare se andiamo così sul personale, ma queste domande e le sue dichiarazioni sono utili per raccogliere il maggior numero d’informazioni da girare al team di studio che sta cercando di capire qualcosa in più su queste creature; i Masika hanno bisogno di lei John”
Jo era sempre più infastidito dalla situazione. Come d’istinto si tolse l'orologio dal polso sinistro, un bellissimo Zenith svizzero regalatogli da Smith per la sua promozione a capitano di vascello. Lo portava solamente nelle occasioni realmente speciali in cui era richiesto un certo decoro; in altre parole, in dieci anni lo aveva messo al polso due volte soltanto. Una al matrimonio dello sceriffo Miller e l’altra nell'aprile del 1956, quando ad Alyangula ricevette in visita il presidente del Territorio del Nord con tutto il suo entourage. Quella fu anche l’ultima volta, prima di quel pomeriggio, che indossò l’uniforme. Quella divisa adesso gli andava sempre più stretta, ci si sentiva soffocare dentro.
Chiuso in quella stanza gli mancava l’aria, quasi un paradosso per un ex sommergibilista che aveva trascorso tre interi anni della sua vita condividendo spazi angusti a cinquanta metri sott'acqua con altre quaranta persone. Posò l’orologio sul tavolo davanti a sé e vide che erano già le 16:30, due ore e mezza da quando era entrato in quell'ufficio. Guardando di traverso il dottor Harris, esclamò con aria disgustata.
“Strizzacervelli vuoi sapere davvero chi era Jo Thompson? Scrivi pure. Un rompicoglioni”
Jo si rimise l’orologio al polso, sistemò la cravatta, si ricompose sulla sedia, appoggiò i gomiti sul tavolo, accese una sigaretta e si rivolse alle altre sette persone sedute al tavolo.
“Volete che vi racconti qualcosa su di me che non sia già riportato sui vostri documenti militari? Scoprirete che la mia Australia è un po’ diversa dalla vostra. Signori mettetevi comodi e portatemi gentilmente un altro scotch, anzi, portate pure tutta la bottiglia”
Con gli astanti ammutoliti, guardò dritto negli occhi l’ammiraglio Edison.
“Questa volta ammiraglio, vedrà che un goccio lo beve anche lei”
Continua...
By kokr75:https://steemit.com/ita/@kork75/ritorno-a-kasiha-capitolo-sesto-by-kork75