Ritorno a Kasiha (Capitolo Dieci)

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Ritorno a Kasiha

Capitolo Decimo

Portale a casa

Sally si accorse quasi per caso che il telefono dietro al bancone stava squillando. Alzò la cornetta e urlando rispose,

"Hello!"
Nel frastuono del locale, capì a fatica che era Jo.

“Animali volete tapparvi quella fogna, sono al telefono con il mio uomo! Scusa Jo, ma stasera è un delirio. Il mare è agitato e i pescherecci sono rimasti tutti in porto. Questi luridi ubriaconi si sono riversati tutti qui al “Fischer”! Quando torni amore?!”

“Pensavo di rientrare domani in serata, avevo già prenotato un volo, ma…”, ci fu un attimo di pausa.

“Cosa ma? Tutto bene?”, chiese lei preoccupata.

Jo con fatica, alzando il tono di voce, raccontò alla sua compagna che le pratiche di disimpegno relative al congedo richiedevano qualche giorno in più del previsto. Alla domanda di Sally di come trascorse la sua giornata, rispose vago. Si soffermò sulla promozione ad ammiraglio e che quindi ci sarebbe stata una “ricca” buonuscita, una buona notizia, commentarono. Inoltre, si complimentò con lei per aver aggiunto in valigia un abito scuro perché era stato invitato a cena al Royal Club.

“Wow, un ambiente esclusivo. Chissà che figurino in giacca e cravatta! Mi raccomando ammiraglio, bada alle buone maniere. Jo Thompson divertiti e comportati bene, che poi a casa facciamo i conti, a me al massimo mi porti a mangiare un sandwich al chiosco della spiaggia e invece stasera te ne vai a cenare a ostriche e champagne. Bravo!”, disse ridendo.

“Sally Smettila di prendermi per il culo. Se vedi Smith, digli di chiamare al comando di Darwin e di avvisarli che prolungo la mia permanenza a Sydney. Quello stronzo di Miller sarà contento di non vedermi per qualche altro giorno”, rispose divertito Jo.

“Sicuramente più tardi passa di qua, insieme allo sceriffo. Jo, ora sono seria. Ricordati le pastiglie e non esagerare con l’alcol. Non fumare nemmeno l’erba, per favore, insomma, niente cazzate!”

“Ok mamma, le pastiglie, il pigiama e niente canne. Buonanotte a domani”. Riattaccò il telefono.

Giunto in albergo si tolse la divisa e si sdraiò sul letto, aveva i piedi in fiamme. Prese le scarpe e le lanciò infondo alla stanza. Aver passato un'intera giornata con ai piedi i mocassini nuovi della divisa d’ordinanza, era stata una tortura degna degli aguzzini giapponesi ai tempi della sua prigionia, pensò tra sé e sé. Aveva proprio bisogno di una doccia, perciò senza perdere troppo tempo si svestì ed entrò in bagno, si diresse verso il grande specchio e guardò la schiena come non faceva da anni. Il suo sguardo si soffermò a lungo sui tatuaggi. Quegli strani disegni maori gli “parlavano” da sempre, a volte comunicavano numeri, altre lettere, oppure punti di riferimento costieri o nomi di costellazioni, “voci fastidiose e martellanti” che si fissavano nei pensier di Jo anche per giorni. Sentì la testa pulsare, conosceva quella sensazione. Cercò di reagire, non voleva cadere in trance e fece appena in tempo ad appoggiarsi al lavabo. Si tappò le orecchie, non voleva sentire il richiamo di Zunika, il potente stregone. Urlò in preda al panico, scosse la testa a destra e a sinistra, si allontanò dal lavandino e prese a picchiare i pugni sul muro. Fu tutto inutile, svenne e cadde all'indietro.

Quando si risvegliò era completamente nudo sul pavimento del bagno. Si rimise in piedi e sentì un forte dolore al ginocchio destro, pensò che cadendo l’aveva sbattuto contro la vasca. Prese del ghiaccio dal frigo bar, lo avvolse in una federa del cuscino e ripensò alle parole dello stregone, “Portale a casa”, ma portare a casa chi? Erano anni che non aveva quelle visioni. Inizialmente quelle sue crisi vennero scambiate per attacchi epilettici dal medico di Alyangula, perciò su consiglio di Miller accettò le cure di uno specialista di Darwin. Fu seguito da un neuropsichiatra che dopo svariati esami gli prescrisse una cura di psicofarmaci. Pastiglie che non assunse quasi mai, ma che comprò regolarmente per tranquillizzare Sally e che poi altrettanto regolarmente finivano giù per il cesso per mano propria.

Ogni volta che veniva “trasportato” nel “mondo di Kasiha” appariva sempre lui, Zunika, il grande stregone del mare. Jo gli doveva la vita, ma non capiva perché lo tormentasse. Lo sciamano diceva che c’era un disegno divino a lui destinato e che il “momento della salvezza del suo popolo, sarebbe giunto dal cielo”; per Jo quelli erano solo incubi da cui fuggire e da dimenticare tracannando whisky. Poi le crisi si diradarono nel tempo e Jo pensò di esserne finalmente uscito, invece quella sera il suo “tormento” tornò più insistente e insopportabile di prima con il seguente messaggio: “Portale a casa”.

Quando si riprese, finalmente ebbe in premio la tanto sospirata doccia gelata, ne aveva assoluta necessità. La tentazione di aprire il minibar era tanta, ma resistette. Si vestì accuratamente con il suo bel completo scuro, camicia bianca e cravatta regimental. Infilò nella tasca del trench un pacchetto di Camel morbide, controllò l’accensione dello Zippo, prese il suo cappello Fedora dalla valigia, regolò il suo scintillante cronografo e cercò il portafoglio.

Prese il suo bellissimo portafoglio di coccodrillo dalla tasca destra della giacca della divisa, poi infilò la mano in quella di sinistra ed estrasse il biglietto da visita di Taylor. Il funzionario, prima di andare via dagli uffici della marina, si era trattenuto con Jo per fare due chiacchiere amichevoli, fumando una sigaretta nel parcheggio del palazzo in attesa del mezzo che avrebbe riaccompagnato Jo in albergo. Taylor fu chiaro e diretto: al di là della scoperta scientifica dei due Kasika, era di primaria importanza per il governo australiano che Jo avesse una parte attiva nella vicenda. Troppi erano i futuri interessi di natura politica ed economica relativi alla sopravvivenza delle due creature, perciò gli lasciò il suo numero privato, affinché lo potesse raggiungere telefonicamente anche a casa, a qualsiasi ora; da quei dieci minuti di colloquio informale, Jo si rese subito conto che Sam Taylor gli andava a genio: scapolo, ex militare, laureato in scienze politiche e soprattutto tifoso di football. In prfatica un papabile compare di bevute serali.

Jo contò cento dollari nel portafoglio prima di metterci dentro un paio di biglietti da visita. Ancora claudicante per via del dolore al ginocchio, sbattè la porta della stanza e scese nella hall, l’appuntamento con l’ammiraglio Gerison era fissato per le ore ventuno.

Si sarebbe aspettato di vedere arrivare Gerison alla guida di una bella auto di lusso, ma si sbagliava, in quanto arrivò a bordo di una piccola utilitaria insieme alla moglie e alle due nipotine. Parcheggiò l’auto dall'altra parte della strada e suonò il clacson per attirare l’attenzione del collega prossimo alla pensione; abbassò il finestrino e lo chiamò a gran voce,

“Thompson, presto salga, siamo in ritardo!”
Jo aprì la portiera posteriore e si sedette in parte ad una delle due bambine, che ogni tanto lo fissava con aria stupita, mentre per il resto del tempo era impegnata in una lite senza fine con la sorellina, tirandole i capelli e facendola gridare di conseguenza come un’aquila,
“Nonna, aiuto!”
“Signora Gerison, ammiraglio, buonasera”, disse con visibile imbarazzo Jo, seduto nell’angolo del sedile posteriore con il cappello tra le mani.
“Ammiraglio Thompson, mi chiami Giada e mi scusi tanto per queste due piccole pesti, ora prima di passare al Club le portiamo a casa dalla babysitter. Il loro papà è in marina anche lui sa, ed è attualmente in navigazione. La mia Mary, la loro mamma, farà tardi al lavoro, quindi adesso le portiamo a casa dove le aspetta la tata, vero tesori di nonna?”, cercò di scusarsi la signora Gerison.
“Non si preoccupi signora Giada, nessun problema per me”, rispose Jo educato e sorridente, mentre le due “iene” continuavano a sbranarsi.

“Thompson, Sydney è diventata una città caotica, in piena espansione, per orientarsi in questo traffico tentacolare ci vorrebbe una mappa aggiornata ogni due ore! Ti perdi anche per andare e tornare dal lavoro. Zitte lì dietro!”, urlò Gerison alle nipotine, spazientito e innervosito dalle loro grida, oltre che dal traffico serale.

“Philippe ti sei perso come al solito? Dove stiamo andando? Pescioline fate le brave su, dai, chissà cosa penserà di voi questo signore” , intervenne Giada.

“Nonna, nonna, mi ha rotto la bambola!”, singhiozzò la bambina a fianco a Jo.

“Molly, pesciolina, non piangere. Adesso basta Simòn, dammi quella bambola! Philippe, portale a casa!”, esclamò Giada visibilmente adirata.
Già, “portale a casa”, pensò Jo. Che incubo, dopo la sortita dello stregone gli toccava sopportare anche i capricci ed i litigi di quelle due bambine indemoniate, che serataccia!
All’improvviso però il colpo di genio, l’intuizione: “portale a casa”, certo, non era lui che doveva andare dai Kasika, ma erano loro che dovevano venire da lui! Tra i suoi piedi c’era la cartella d’asilo di una delle due bambine, dalla quale estrasse una matita colorata e un quaderno, fra il pianto isterico di una che non gradì affatto l’uso non autorizzato dei suoi effetti personali e la presa in giro dell’altra. Jo vi appuntò velocemente i dati che da un momento all’altro presero a scorrere nella sua mente, nel timore di poter svenire nuovamente. Quello che scrisse gli fece strabuzzare gli occhi: S43122534E1471536664

Potevano essere coordinate geografiche? Certo che lo erano, nessun dubbio.

S 43°1'22.534''

E 147°15'36.664''

Il Mar di Tasmania? Kasiha? Era lì che doveva portare i “mostri marini”? Doveva chiamare Taylor.
Subito.



Continua...

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