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This is football!

In un pomeriggio di un lontano gennaio, ventidue ragazzi inglesi che per lavoro vivevano a Genova (o Genoa, come loro chiamavano la città ligure), si diedero appuntamento alla piazza d’armi del Campasso. Su quel manto erboso a due passi dalla Lanterna, quei giovani decisero di sfidarsi in un gioco, che prevedeva l’utilizzo di una palla di vescica di maiale gonfiata a d’aria, da prendere a calci. Quel passatempo era molto popolare in Gran Bretagna, e i sudditi di sua maestà lo chiamavano: football. Quelle sgambate all’ombra della Lanterna furono le prime partite di calcio “moderno” giocate in Italia, di cui si abbia una testimonianza storica, correva l’anno 1893. Qualche mese più tardi, negli uffici del consolato inglese, gli stessi appassionati di football, per dare un segno tangibile alla loro attività ricreativa, fondarono una società sportiva, secondo i rigidi canoni di quelle presenti nella loro madre patria: il Genoa cricket and Athletic club, era il 7 settembre 1893. All’epoca, nelle università londinesi, ogni periodo dell’anno aveva il suo sport all’aria aperta. La primavera e l’estate erano dedicate all’atletica, canottaggio e cricket, mentre i mesi autunnali e i gelidi inverni erano esclusivamente per gli sport con la palla, come il football e il rugby, in tutte le loro varianti. I giovani britannici genovesi, iscritti alla neonata associazione furono da subito numerosi, e la stragrande maggioranza di loro fu attratta esclusivamente dal gioco del football (dalle cronache sportive dell’epoca, sembra infatti, che di partite di cricket, se ne siano giocate veramente poche) e così dopo qualche anno, la dicitura “Athletic” mutò in “football”. Il nome del più antico club calcistico d’Italia ancora in attività, con oltre un secolo di storia alle spalle, non è cambiato di molto da allora, ha aggiunto soltanto nell’arco del tempo il “1893”, anno che ne ricorda la primogenitura. Da sempre il nome Genoa con quella “V” in meno, che inutilmente il regime fascista negli anni bui della dittatura, impose con la forza, rimane lì, come un antico blasone araldico a perenne memoria della storia sportiva italiana.

Inutile quindi negare che le origini del nostro amato calcio, Chelsea tanto infiamma i cuori di milioni d’appassionati italiani, sono tutte genovesi e inglesi, poiché in Italia, solo lì, nella terra di San Giorgio il legame con l’Inghilterra è stato da sempre storicamente forte. Legame che agli inizi dell’Ottocento risaldò ancora maggiormente le sue lontane radici, tra la nazione più industrializzata dell’epoca e il primo porto del mediterraneo. Alla fine dell’Ottocento, Genova con il suo scalo, era il punto cardine della nascente industria italiana. La fervente attività industriale e il crescente e irrefrenabile sviluppo economico esigevano il carbone, e l’indispensabile minerale, proveniva esclusivamente dalle miniere del Galles. L’oro nero fiammeggiante, lo si imbarcava sulle banchine di Cardiff e lo si scaricava nel porto di Genova e i caruggi della città cominciarono a riempirsi di marittimi inglesi. Quindi è di romantico pensare, che il gioco più popolare d’Italia, nasca dalla ricerca di una fonte costante di energia, che spinse il nostro Paese verso la modernità e lo sviluppo economico. Ed è proprio in quel contesto che i ragazzi del console inglese Peyton, scendevano in campo. Man mano che l’attività pedatoria divenne sempre più in voga, gli sportivi del Genoa, abbandonarono lo storico campo di Sampierdarena per trasferirsi su quello di Ponte Carrega (sulle rive del fiume Bisagno). Su quel campo sportivo, battuto costantemente dalla tramontana, in quella località che i genovesi definiscono “U postu ciù freidu de Zena”; il 6 gennaio 1898, si disputò il primo incontro di calcio fra squadre di diverse città. Il Genoa scese in campo, contro una rappresentanza di giocatori provenienti da Torino. Il match fu disputato davanti a un discreto pubblico, che seguì l’evento con partecipazione ed entusiasmo. L’incontro finì 1 a 0 per la delegazione piemontese, e la stampa sportiva dell’epoca ne diede ampio risalto.


A Ponte Carrega, i giovani genovesi accorrevano in massa, incuriositi e attratti dal football, ma sempre con una punta d’invidia nei confronti dei coetanei britannici, in quanto in campo non potevano entrare, il gioco era esclusivamente riservato ai soli soci inglesi del Genoa. A venir incontro alle brame calcistiche dei “züeni”ci pensò un membro del club, il dottor James Richardson Spensley. Spensley non fu solo un illustre medico, ma anche molto altro: calciatore (come portiere del Genoa, conquisto sei titoli italiani dal 1898 al 1904) allenatore, arbitro di calcio, giornalista (corrispondente del Daily Mail) e filantropo (fondatore del primo gruppo di scout in Italia). Il suo nome, è entrato di diritto nella storia del calcio italiano, in quanto ne fu uno dei promotori e divulgatori; e fu grazie a lui, se in una animata assemblea del 10 aprile 1897, “U megu goalkeeper” otterrà che siano ammessi nel Genoa gli: “italian man”.

I primi a iscriversi al club furono i rampolli dell'alta borghesia, seguiti da alcuni aristocratici. Arrivarono i fratelli italo-svizzeri Edoardo ed Enrico Pasteur (parenti del celebre scienziato, Louis Pasteur); Wallys Ettore Ghiglione, figlio di un ricco commerciante; Silvio Bertollo ricco rampollo della Genova bene. Ma fu proprio grazie all’attività incessante da reclutatore di Sir Spensley, che cercò costantemente tra le banchine del porto, nelle fabbriche, o tra curiosi a bordo campo, nuovi talenti d’avvicinare al gioco calcio, che arrivarono i primi autentici “zeneisi”: Fausto Ghigliotti, figlio di uno spedizioniere e Giovanni Bocciardo che si appassionò al football nel suo periodo trascorso in Svizzera. Il calcio agli albori fu solo sana passione, gli atleti non venivano retribuiti, e ognuno di loro si comprava la tenuta ginnica e le “preziose” scarpe da football, ritenute indispensabili, dalle rigide regole del Club, per poter calcare il terreno di Ponte Carrega. Là squadra si manteneva con le offerte dei soci, e i pochi spiccioli incassi delle partite, risultavano utili solo per la manutenzione dell’impianto sportivo. Il 16 marzo 1898 a Torino, nacque la Federazione Italiana di Football e furono invitate a aderirne le società sportive che praticavano il gioco del calcio nel nostro Paese. I club presenti furono sette: Il Genoa, l’Internazionale di Torino, il Football Club Torinese, la Reale Società Ginnastica (Torino), Unione Pro Sport Alessandria, la SEF Mediolanum (Milano) e la Società Ginnastica ligure Cristoforo Colombo (Genova). Dopo una lunga assemblea solo quattro squadre, decisero di dar vita, secondo le regole del football britannico, al primo Campionato di Calcio Italiano. Stabilita la data per il torneo (l'8 maggio 1898 a Torino), l’assemblea venne chiusa, e iniziarono per il Genoa le partite preparative all’atteso evento. Il team guidato dall’infaticabile dottor Spensley, si allenò giocando alcune partite amichevoli con gli equipaggi militari britannici presenti in rada. Poi si trasferì ad Alessandria sul campo dell’Unione Pro Sport ed infine diede vita a uno dei primi derby del capoluogo ligure. Sull’epico campo del Campasso, il Genoa affrontò e batte la neonata formazione del Pro Liguria di Sampierdarena. La Pro Liguria fu fondata da alcuni appassionati locali, che assistendo alle numerose partite di football disputate sul prato vicino alla Lanterna, decisero di creare nell’aprile del 1897 una squadra tutta italiana. L’attività calcistica della Pro Liguria fu breve, e venne inglobata quasi subito dalla sezione calcio della Sampierdarenese (1899), che decenni dopo, avrebbe unito i propri colori a quelli di un'altra gloriosa società calcistica genovese, l’Andrea Doria (1900) dando vita all’Unione Calcio Sampdoria (12 agosto 1946). Terminate le amichevoli, il Genoa si presentò l’8 maggio al Velodromo di Torino (in tenuta bianca) per disputare lo storico quadrangolare (Genoa, l’Internazionale di Torino, Football Club Torinese e Ginnastica Torino) che gli assegnò, battendo prima in semifinale la Ginnastica Torino (2-0) e poi in una serratissima finale l’Internazionale per 2 a 1, il titolo di primo Campione d’Italia, ricevendo dalle mani del duca degli Abruzzi la coppa destinata ai vincitori.

Negli anni successivi, la compagine italo-anglo-svizzera partecipò nuovamente al massimo campionato nazionale, ottenendo nuovi successi, e laureandosi campione d’Italia nel: 1899, 1900, 1902, 1903 e 1904. La conquista di quei titoli infiammò l’entusiasmo degli appassionati genovesi e sugli spalti le grida e gli incitamenti in cadenza ligure si mescolavano con l’inglese, per la precisione con i termini del football. “Mia u back”, poteva essere usato per segnalare l’intervento di un difensore, “Striker tîa!” per incitare l’attaccante a provare a calciare in porta, “Referee gundùn”, quando si voleva oltraggiare l'arbitro, “Quellu belinun, du linesman”, per contestare un dubbio fuorigioco, le parole del football si adattavano al genovese e così si diceva “opsai” per off-side, “ensi” per hands e nessuno avrebbe mai detto: fuorigioco o fallo di mano. C'era una parola che però, neppure il neofita tifoso sbagliava: “mister”, per indicare l’allenatore. A Genova, con o senza "v", l'inglese scorreva fluido lungo il Bisagno sino alle banchine del porto, passando da Ponte Carrega al nuovo stadio “U Campo dö Zena”, dove la società si trasferì quando prese in affitto, nel 1910, il terreno con annesso galoppatoio del marchese di Marassi, Musso Piantelli. L’impianto che fu chiamato Campo di Via del Piano (sulle quali macerie nel 1933 sorgerà l’attuale stadio Luigi Ferraris) fu inaugurato il 22 gennaio 1911, in occasione di Genoa-Inter. Una curiosità, che animo e infiammò la rivalità dell’epoca, fu la vicinanza (li separava solo una staccionata) del nuovo campo del Genoa, con quello già preesistente della Cajenna (1902), storico teatro delle caldissime partite casalinghe dell’Andrea Doria.

Anni dopo arrivò il “mister” e arrivò dall'Inghilterra e si chiamava William Garbutt e fu una rivoluzione. Era un nazionale inglese che si era infortunato, non poteva più giocare; divenne il maestro e la guida! degli altri. Con lui il Genoa vinse gli ultimi tre titoli italiani, il più glorioso nel 1922-23, senza mai una sconfitta. E via lui, non ne vinse più. Con mister Garbutt finirono gli inglesi, dello storico club. Non finì invece l'impronta dell'Inghilterra, nella vita della squadra, e a testimonianza di ciò ogni volta che i ragazzi del Genoa scendono sul terreno di gioco, c’è quella maglia a quarti rossoblù a ricordarlo. Colori, il rosso e il blu fortemente voluti nel 1901 dai fondatori anglosassoni, per rendere omaggio alla regina Vittoria e l’Union Jack britannica. Mentre quel nome inglese “Genoa Cricket and football Club 1893”, rimarrà scolpito per ben nove volte nell’albo d’oro del campionato italiano, e soprattutto nel cuore degli appassionati di questo sport.

Testo di proprietà di kork75

(Stadio Luigi Ferraris - Genova Italy - Foto di proprietà dell'autore)

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