Luigino

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La sua prima immersione a bordo del Medusa Luigino se la ricorda bene, gennaio del 1932 lungo le coste della Florida, quando insieme ad altri due palombari più anziani ed esperti di lui, scesero a cinquanta metri di profondità. Sotto lo scafandro una maglietta bianca e dei mutandoni di cotone, regalo della nonna Assunta, e in testa un berretto di lana blu cimelio del servizio militare. Le ultime spiegazioni le ascoltò con il cuore in gola. La raccomandazione ironica di fare attenzione al naso mentre gli avvitarono il massiccio casco la sentì appena e d’istinto ritrasse il collo. Chiuso anche il vetro anteriore attese il colpo di mano sull’elmo d’ottone che indicava che poteva lasciarsi cadere all’indietro. Sagola dell’ecoscandaglio nella mano destra e il tubo della pompa ad aria in quella sinistra si lasciò andare. In pochi minuti, sospinto dai pesanti scarponi, toccò il fondo. Luigino alzò gli occhi e vide la sagoma del Medusa sopra di lui, scaricò l’aria e si mise in posizione verticale. Tirò con forza la cima dello scandaglio ricevendo uno strattone di risposta: “tutto liscio quota trenta metri”. Alla prima immersione Luigino e i suoi soci palombari non individuarono il relitto dell’Atlante, ci volle tempo: un intero mese di ricerche. L’Atlante era una motonave che dall’anno 1910 copriva la tratta New York-Haiti. La motonave affondò il 10 aprile 1915 in circostanze sospette; una collisione notturna con un'altra imbarcazione. A bordo dell’Atlante, dirette ai Caraibi, si trovavano numerose personalità politiche e dell’aristocrazia americana. La narrazione marinara raccontava che gli altolocati avessero al seguito una notevole quantità d'argento e d'oro: il cui complessivo valore si faceva ascendere a oltre cento milioni di lire. L’equipaggio del Medusa pianificò e tentò il recupero di quel misterioso tesoro, che le cronache da taverna da tempo davano sepolto in fondo al mare insieme all’Atlante. Per Luigino, l’emozione per quella sua prima volta fu spazzata via dalla delusione per non aver trovato il carico di preziosi. Nei mesi successivi, individuato il relitto e dopo aver ispezionato per due settimane intere le diecimila tonnellate di lamiera fangosa, tra i detriti contorti delle paratie ferrose della motonave, il Medusa era stato richiamato in patria dal suo armatore. La nave ricerche rientrata nel Mediterraneo sostò alla fonda del porto di Genova battendo “bandiera Bravo”, pericolo per lo scarico d’esplosivo: la dinamite era un residuo della spedizione americana.

“Occorreranno ancora da quaranta a quarantacinque giornate di lavoro per penetrare nell'aureo rifugio”, così parlò il capitano all’armatore il giorno del loro rientro in Italia. A bordo del Medusa tutto era pronto oramai per riprendere la missione sul relitto dell'Atlante. La stazione radio era stata accresciuta in potenza; le torrette esploratrici, che consentivano di raggiungere profondità di oltre centoventi metri, erano state corredate da modernissimi strumenti di rilevamento e da potenti riflettori esterni; apparecchi per la segnalazione quantitativa e qualitativa delle giacenze metalliche, sistemi di mine ad alto esplosivo, comunicazioni telefoniche e ottiche, scandagli e sonde di vario tipo, boe, gavitelli e salvagenti auto segnalatori, attrezzature per l'impiego della fiamma ossidrica nel taglio delle lamiere sott'acqua, avevano completato il già accurato corredo di bordo. La partenza per l’attraversata Atlantica era stata fissata per il giorno 15 settembre.
“Signor Luigi… Quanto ci vuole per l’America?”, domandò Franco il nuovo giovane mozzo appena imbarcato.

“Il Medusa non è nave veloce, ma tiene bene il mare ed è stata costruita per lunghe crociere. Ci metteremo un po’…” Rispose il palombaro seduto su di una bitta a prora aspirando la pipa.
“So che non sono affari miei signor Luigi… Ma l’equipaggio dice che andiamo a cercare un tesoro”, chiese curioso il giovane mozzo abbassando il tono di voce.
“Nessun tesoro. Recuperare alcuni documenti di bordo dell’Atlante sigillati in una cassaforte, è un motivo d'orgoglio per l’Italia e per il nostro armatore. In passato il recupero di questo fantomatico tesoro è stato vanamente tentato da società francesi e americane, degenerando spesso in conflitti aperti tanto da trasformare talvolta lo specchio d'acqua soprastante il relitto in un vero e proprio campo di battaglia, con l'impiego di mitragliatrici e cannoni. Fidati non c’è nemmeno una lira in quell’ ammasso di ferraglia”, rispose Luigino.
“Sparare? Quindi è pericoloso?” Domandò preoccupato il mozzo.
“Non ti preoccupare è tutta scena a chi ha i muscoli più gonfi”
“Per cosa poi? Per dei documenti… Carta bagnata. Preferivo un tesoro”, concluse il mozzo sconsolato salutando il palombaro.
Luigino rimasto da solo tirò fuori dalla tasca un doblone d’oro recuperato sull’Atlante. Osservò la moneta per un lungo istante e fischiettando salì in plancia.


Racconto di proprietà dell'autore (kork75) e originalmente pubblicato sul proprio blog:https://hive.blog/hive-146620/@kork75/luigino-un-racconto-by-kork75

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