A Ettore l’ansia gli rubava l’aria, procurandogli un forte senso di terrore, fin da bambino aveva imparato a riconoscerla l’ansia, a conviverci e a combatterla; se non era per i suoi vent’anni e la vita d’atleta, più di una volta aveva pensato seriamente che quelli fossero i sintomi dell’infarto: difficoltà di respirazione, sudore, tremore, vertigini. Il medico sociale gli aveva detto che soffriva di sindrome “del cuore irritabile”, in parole ancora più semplici il suo era panico; quel tipo di panico che quando lo colpiva gli distruggeva l'esistenza e scatenava in lui l'agorafobia: il terrore degli spazi aperti. L’ansia l’assaliva all'improvviso, soprattutto quando era chiamato a prendersi delle responsabilità. Ettore conosceva benissimo i suoi limiti e sapeva che l’ansia non aveva nulla a che fare con le sue piccole fobie, come il timore di non passare gli esami all’università, deludendo sua madre, o di dichiarare il proprio amore alla sua bella: deludendo sé stesso. Per lui, quelli furono minuti da consumare in fretta, in una cornice tesa con i giocatori esausti a bordo vasca. Il suo sguardo si perse in alto, verso il cielo stellato, niente era più reale, tutto era ormai onirico, come i tifosi che cessarono d’intonare i loro cori lasciando spazio a un assordante brusio che si diffuse in tutto l’impianto. Era notte ormai, ma l’afa si faceva sentire sotto i riflettori di un giugno che Ettore avrebbe voluto passare in maniera diversa; un mese prima, mai avrebbe pensato che la stagione che valeva una promozione in massima serie si potesse decidere con uno spareggio, per di più ai rigori. Uscì dall’acqua e cominciò a grondare di sudore, si slacciò la calottina e la strizzò forte con un gesto di stizza, era intrisa di paura e rabbia. L’arbitro sorteggiò le porte per i tiri di rigore. La loro porta era quella sotto la curva dei loro supporters: applausi d’incoraggiamento da parte del pubblico amico. Ettore doveva reintegrare i sali minerali e così si aggrappò alla borraccia. Poi l’arbitro chiamò i due capitani, facendosi consegnare la cinquina dei tiratori e decretando la squadra che doveva aprire le “danze”: l’avversario. Ettore si rimise la sua calottina numero quattro (una vita da difensore sinistro), e raggiunse i suoi compagni a bordo piscina, per poi sistemarsi alla destra del Mister.
L’allenatore lo guardò fisso e gli mise una mano sulla spalla:
“Ragazzo, coraggio, abbiamo fatto tanto per arrivare qua… Stasera hai segnato due reti, e giocato una grande partita, ti chiedo solo un ultimo sforzo. Andrà tutto come deve andare, stai sereno”.
Ettore non rispose e fece segno di sì con il capo.
Dai consulti medici era emerso che suoi attacchi d’ansia avevano un’origine più psicologica che biologica. La benzina sul fuoco che scatenava il suo malessere era lo stress, e partite ad alta intensità adrenalinica come quello spareggio non lo aiutavano di certo a mascherare il suo disagio; così incominciò il suo training autogeno fatto di profondi respiri, evitando accuratamente di guardare spazi aperti, come la volta celeste o il fondo vasca.
Il suo portiere si tuffò e nuotò lentamente verso i pali in una piscina ammutolita, il numero sei era pronto alla battuta. Finta. Il portiere rimase immobile:
“Perché non si è buttato?” Urlò Ettore con le mani alle tempie. Ma la palla scagliata con violenza andò alta, sfiorando la traversa e perdendosi nel pozzetto tra il boato della folla.
Toccò al loro numero due che tirò forte, ma non angolato: il portiere balzò sulla sua destra e ribatté. Zero a zero (o nove a nove: come erano finiti i tempi regolamentari).
Seconda tornata: la calottina rossa vide il tiro, si allungò giusto sulla sinistra ma non poté arrivare sul tocco molto angolato dell’avversario (9 a 10). Il suo centroboa si aggiustò la palla dai cinque metri, la sua botta alla destra era sempre stata Irresistibile. Dieci a dieci, Ettore esultò.
Era giunto il momento di Ettore, il suo “match-ball”. Il Mister lo strinse in un abbraccio e con una pacca sulla schiena lo indirizzò a bordo vasca:
“Vai tranquillo e schiaffala dentro…”.
I suoi compagni gli batterono il cinque, mentre la responsabilità gli offuscò la vista e i rimanenti quattro sensi. Ettore barcollò lentamente, chiuse gli occhi e con un passo lungo in avanti scivolò giù, come se non avesse più forze, giù, nella piscina, giù fino a toccare il fondo; poi con un poderoso slancio riemerse sino al bacino scuotendo la testa, sentì l’urlo d’incitamento dei compagni, alzò il pugno al cielo e in poche bracciate con un sorriso beffardo stampato in volto raggiunse i cinque metri “assaggiando” la palla. Si girò per caricare il tiro in attesa del fischio dell’arbitro, si isolò dal contesto concentrandosi unicamente sull’estremo difensore. In quei istanti, senza timore alcuno, si sentì finalmente pronto a sconfiggere la sua ansia.
Racconto di proprietà dell'autore (kork75) e pubblicato originalmente sul proprio blog: https://hive.blog/hive-146620/@kork75/l-ansia-di-ettore-un-racconto-by-kork75
Saluti kork75