La lancia con il tricolore 

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Il capitano Anselmi pensò che la conversazione con il capo tribù sarebbe stata utile per il proseguo della loro missione; così il convoglio militare attraversò il fiume Omo dirigendosi all’accampamento dei Karo. Il capitano rispolverò il suo aramaico incominciando a parlare di politica e della probabilità di conflitti con clan rivali, ma il contadino che li accolse all’ingresso del villaggio offrendogli acqua fresca, evitò accuratamente l’argomento rispondendogli in maniera evasiva. I bersaglieri si accamparono poco fuori le prime baracche, nei pressi di un pozzo, vicino alla staccionata del bestiame. Due armigeri armati di lance e scudo fecero strada, scortando il capitano e il tenente Riccini alla capanna del rais. I due ufficiali italiani entrarono nella capanna e videro il rais seduto su uno scranno di legno, con due possenti guerrieri armati di daga ai suoi lati. In disparte, nella penombra del ricovero, due ragazze in abito tradizionale, con fiori, piume e bracciali. Un anziano servo fece poi ingresso portando delle cibarie. Il nome del capo tribù era Feiven Senai, erede di un’antica stirpe di guerrieri karo. L’enorme piuma sul capo e i numerosi sfregi sul corpo dipinto di bianco erano segni inequivocabili che il vecchio era anche un grande e rispettato combattente: una cicatrice per ogni uomo ucciso in battaglia. Il rais era un uomo di almeno ottant'anni e dimorava in una misera capanna di cannicci dal pavimento in terra battuta; le pareti della casupola erano ricoperte di arazzi di poco valore e l’arredamento era ridotto al minimo essenziale, come ridotta al minimo era la sua corte: segno indubbio della decadenza del suo potere.
“Dopo la rivolta di Gondar e la sconfitta subita fu confinato lontano dalla capitale e esiliato ai confini dell’impero”, sottolineò il tenente Riccini spulciando gli appunti di viaggio della spedizione. I due ufficiali e il rais si sedettero per terra su di una stuoia al centro della capanna. La conversazione, sorseggiando caffè servitogli dalle due ragazze e mangiucchiando semi di mais scoppiettati, andava avanti da almeno un'ora. Il rais si limitò a una sequela di affermazioni sul valore mangereccio dei miseri viveri che la missione cattolica faceva arrivare alla loro tribù. A ogni domanda del capitano il vecchio Feiven Senai replicò con la solita cantilena in un italiano zoppicante: “II lascia passare datole da sua Eccellenza non dice che ella abbia diritto a onori principeschi, cionondimeno siccome lei è certamente un grande del governo dell’impero italiano io le dirò quello che vuole sentirsi dire”.

Il capitano, nell’intento di sbloccare la conversazione, presentò in dono al ras un set di posate da campo con inciso lo stemma del Regio Esercito. Il capo clan preferì un paio di stivali coloniali d’ordinanza. Improvvisamente, mentre il vecchio Feiven Senai veniva aiutato dalle due giovani a indossare le calzature, uno dei due guerrieri di guardia allo scranno si avvicinò ad Anselmi dimostrando interesse per un bastoncino metallico satinato che gli spuntava dalla tasca della camicia. Riccini distolse lo sguardo del karo dalla penna a stilo del capitano mostrandogli uno scudiscio di bambù che aveva comprato il mese prima in un mercatino di Asmara. Il tenente gli regalò il frustino e il guerriero mostrò gratitudine per il gesto facendo portare della birra in un coppo di terracotta. Il vecchio rais bevve per primo, probabilmente per dimostrare che non era avvelenata, e poi passò il coppo ai suoi due ospiti. Feiven Senai pensò poi di mostrare i suoi paramenti, vale a dire l'abito di gala, con l'intenzione evidente di confondere i suoi interlocutori. Gli portarono una cassetta, l'aprì con le sue mani e mise sotto gli occhi del capitano un bracciale dorato incastonato di pietre preziose, poi sostituì il copricapo con la piuma con uno rotondo di metallo anch’esso dorato, si alzò in piedi e si fece aiutare a indossare la grande stola ricamata di luogotenente imperiale. Rimasero nella cassetta altri oggetti secondari di abbigliamento, il vecchio mostrandoli ad Anselmi disse: “Posseggo altri abiti più belli...”.
Riccini, da studioso della cultura etiope, in un dialetto karo misto di aramaico si inserì bruscamente:
“Aznallehu, Gabagne. Birr”, si alzò in piedi, mise mano alla giberna e allungò all’anziano capo un sacchetto di monete. Il rais ammutolì, fissò il tenente per un paio di secondi e poi con un cenno della mano chiamò il servo a ritirare i talleri.
“Ora possiamo parlare d’affari… Italiani, un accordo si trova sempre”, rispose in perfetto italiano con un ghigno stampato in faccia lasciando stupefatti i bersaglieri.

Feiven Senai accompagnò i due a un leggio in legno posto in un angolo della capanna. Sopra il leggio una sorta di diario di cartapecora scritto in aramaico fitto.
“… Nell'interno del Dallol andavano e venivano uomini incappucciati, sembravano briganti travestiti. S'aggiravano in gruppi erano padroni del luogo. Noi eravamo protetti dagli ascari del Regio Esercito e grazie all’aiuto di essi, abbiamo attraversato profondi valloni solcati da impetuosi torrenti, lasciandoci alle spalle le immense alte pianure. Dopo le montagne senza creste, abbiamo rizzato le tende. Più tardi accadde fra i miei un incidente doloroso”, il rais, curvo sullo scritto e guidato dal dito indice, lesse molto lentamente traducendo il tutto in italiano.
“Dallol?” Sottolineò Anselmi.
“La regione più calda e inospitale del Rift africano: la depressione della Dancalia. Il Dallol è situato a 120 metri s.l.m. La temperatura superficiale della roccia può raggiungere i 160°C; ci si potrebbe addirittura cucinare qualcosa sopra”, sottolineò Riccini.
Il rais zittendo il tenente con lo sguardo continuò la lettura:
“… Uno dei muli scappò sferrando un calcio nel ventre a un mercante. Le condizioni dell’uomo erano gravi, morì nella stessa giornata. Sono tornato indietro in cerca della bestia insieme a un ascaro di scorta alla carovana e al mio cane. Ci eravamo allontanati parecchio dal nostro gruppo, ed era scesa la notte, così decidemmo di accamparci. Siamo andati a piantar le tende su di un poggio, infestato da leopardi, così l’ascaro decise di restare vigile intorno al fuoco. Al mio risveglio, subito dopo il sorgere del sole, la meraviglia del deserto. L'immenso deserto dancalo, lo si vedeva prossimo quasi immediato che spandeva nel cielo mattutino il riflesso del suo candore. Poi l’apocalisse”, continuò con un nodo in gola il vecchio.
“… Nubi grigie ammassate avanzarono e una tenebra ombra nera spense il sole. Un vento gelido si abbatté su di noi. Il ghiaccio coprì le creste delle alture e la pianura desertica sotto di noi, fu terribile. Il cavallo dell’ascaro e il mio somaro congelarono dopo alcuni minuti. Io e il soldato riaccendemmo il fuoco, ci coprimmo con tutto quello che era a nostra portata comprese le carcasse degli animali. Per non morire di freddo, presi il cane, gli chiusi il muso con la mano, fino a fargli perdere il fiato. La bestia si divincolava con vigore, schiumando di rabbia. Infine, si acquietò e si lasciò legare contro di me, il suo calore mi ha salvato la vita”, dopo un’altra pausa Feiven Senai concluse:
“…Un rombo di tuono e dal cielo scese l’ombra nera, una nave alata, che si insediò in un vallone; orde di cavalieri scuri uscirono dal suo ventre: gli uomini incappucciati. L’ascaro piantò la lancia nel ghiaccio urlando il grido di battaglia del popolo afar. Imbracciato il moschetto il soldato sparò contro i briganti, un fascio di luce rosso lo colpì in pieno petto, il valoroso evaporò davanti ai miei occhi. Impaurito e inorridito svenni quando i briganti erano a pochi passi da me. Quando mi risvegliai, schiacciato dal peso delle carcasse putride degli animali e dal ronzio delle mosche, il sole mi scottava le gambe e le braccia. Dei briganti e della loro nave volante neppure l’ombra. Il Dallol era tornato il solito deserto infuocato e il ghiaccio aveva lasciato il posto ai soliti colori infernali con tutte le loro gradazioni, dal grigio, al rosso al giallo fiamma. La lancia, con attaccata la bandierina tricolore del valoroso ascaro, era piantata non più nel ghiaccio ma nell’arido terreno. Il raglio di un mulo mi riportò alla realtà. L’animale era quello scappato due giorni prima e pareva in buona salute. Raccolte le mie cose mi rimisi in marcia, un lunghissimo cammino, ma non per raggiungere la carovana… Afa Negus Yonas Vorkù, giugno 1936”.

Usciti dalla capanna, dopo aver ringraziato il capo clan, Anselmi osservando un gruppo di bambini intenti a ricevere dalle mani di alcuni bersaglieri delle gallette dolci, diede le prime direttive a Riccini:
“Tenente, dica al cuciniere di organizzare una mensa da campo, oggi divideremo le nostre razioni e il rancio con i karo”. Riccini sorrise approvando e ribatté:
“Capitano avevate ragione, adesso abbiamo una traccia da seguire. La descrizione del luogo della lancia con il tricolore riportata sul manoscritto è molto dettagliata, la troveremo e…” Il tenente non fece in tempo a finire la frase che Anselmi lo fermò:
“Riccini, è così arduo questo deserto? Con i nostri mezzi a disposizione possiamo affrontarlo?”
“Il rovente deserto etiopico della Dancalia? A parte le elevate temperature mi preoccupano i continui terremoti, ultimamente sono state registrate scosse d’ intensità di sei sulla scala Richter, ma penso… che siamo attrezzati”.
“Rapporto sui mezzi”, ordinò secco il capitano.
“Gli autocarri sono in buone condizioni, reggeranno sino a quando potremo percorrere strade battute o mulattiere transitabili. I motocicli possono farcela tranquillamente così come le autoblindo… In serata le darò notizie in merito alle scorte di carburante”, rispose il tenente.
Anselmi prese appunti sul suo diario e prima di riporlo nella bisaccia indicò la staccionata del bestiame e disse:
“Entrando nel villaggio ho visto dei cammelli e qualche animale da soma, possono esserci utili, daremo un extra a Feiven Senai, se ne occupi subito”,
“Comandi”, rispose Riccini frugando nella giberna in cerca di altri talleri.
“Dimenticavo… riunione operativa nella tenda comando per le ventidue. Riccini per ora è tutto”, disse il capitano accendendosi una senza filtro e congedando il tenente rispondendo al saluto militare con cenno della mano.

Racconto di proprietà dell'autore (kork75) e pubblicato anche su:

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Saluti by kork75!

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