Il varo

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La nave, dopo una corsa veloce lungo lo scalo inclinato senza un attimo di esitazione e senza un sussulto, si congiunse finalmente al suo elemento naturale: il mare. Il momento rischioso del varo, che è per un’imbarcazione come un parto per un essere vivente, fu superato brillantemente; la nave si dichiarò viva e vitale. L’imbarcazione, diritta, stabile e maestosamente galleggiante nell’acqua della darsena, fu protetta da tutti i bastimenti del porto come si conviene a una vera regina del mare. In quella calda e soleggiata mattinata d’agosto, settantamila persone festanti assistettero a quell’indimenticabile avvenimento. Si calcolò che in due giorni i treni “rovesciarono” in città quasi trentacinquemila forestieri. I biglietti d'invito distribuiti superarono i cinquantamila: il solo ministro della marina ne volle mille. Se ne sarebbero distribuiti decine di migliaia di più se le colossali tribune costruite ai due fianchi della nave avessero potuto contenere ulteriori ospiti. Da una settimana prima del varo accaparrarsi un biglietto fu un'impresa disperata. Molti giunti nel capoluogo senza la preziosa tessera d’invito, dopo vari espedienti, trovarono comunque posto su una nave da guerra, un piroscafo, una chiatta, una barchetta, insomma qualunque mezzo nella rada andò bene purché si riuscisse a vedere qualcosa; parecchi armatori fecero affari d'oro quel giorno, e usarono i loro bastimenti come tribune suppletive. Nel porto giunsero parecchi piroscafi carichi di turisti, i battelli furono espressamente noleggiati per il varo e diventarono delle vere e proprie tribune galleggianti. Pochi trovarono da dormire, tutti gli alberghi furono pieni; i treni serali e notturni del giorno prima riversarono in città molta più gente che letti liberi. I “senza letto” bivaccarono nei caffè, nei giardini pubblici e sulle panche del centro; la loro notte di vigilia fu breve perché già all’alba le vie della città brulicarono di gente. Fu un movimento vivace, grazioso, in cui i pochi abiti scuri e rare tube, scomparirono nell’allegro rumoreggiare della folla dai colori chiari delle divise bianche dei marinai e dagli sgargianti vestiti estivi delle signore. La folla fu cosi grande, mattiniera e gaiamente affamata che alle sette del mattino in città non vi rimase più una sola goccia di latte o meglio nessun pezzo di pane nei forni. Alle otto, tutto quel bellissimo mondo festosamente brulicante entrò nel cantiere.

Il transatlantico, inquietante visione di potenza o di assurdità, se ne stava maestosamente inclinato sullo scalo così come fu costruito: la poppa in basso a pochi metri dall’acqua e la prora in alto come se si impennasse per un folle volo. Stretta tra due smisurate tribune, l’imponente nave fu pronta a entrare nel nostro mondo a ritroso: prima la poppa. La prora, che si trovò sul punto più alto dello scalo, fu sollevata a un’altezza vertiginosa; in cima a essa alcuni marinai piccoli come puntini bianchi sull'azzurro pallido del cielo salutarono la folla sottostante agitando i loro berretti. La nave fu tenuta dagli ultimi vincoli solo con cinque enormi puntelli che gli serrarono i fianchi; i rimanenti scontri laterali e i martinetti idraulici che gli impedirono di “scappare”, insieme ad alcune ritenute di cavo, furono accuratamente “nascosti” sotto la chiglia e dietro la prua. La parte immergibile fu tinta di marrone, la parte emersa di nero. In alto, sopra il bordo estremo dell’imbarcazione, incominciarono a profilarsi le linee sinuose dei castelli, delle infrastrutture e dei quattro fumaioli. Il transatlantico discese in mare con meno di un terzo del suo peso definitivo. Molte opere che più facilmente avrebbero potuto compiersi in cantiere, come il collocamento degli alberi e delle eliche, furono concluse in acqua nei mesi successivi. Arrivarono poi accolti da uno scrosciare d’applausi il duca, la duchessa e il ricco armatore della compagnia marittima proprietaria del transatlantico pronto al varo. I Principi e l’armatore presero posto sul palco reale e lì aspettarono il re. Quando il treno reale si fermò in stazione i cannoni delle navi in porto spararono le previste salve di saluto; il re arrivò puntuale alle ore nove a bordo della lancia reale. La piccola imbarcazione ormeggiò presso la poppa della nave al varo; il re sbarcò in divisa da generale percorrendo poi un grande tappeto rosso accuratamente steso sulla ghiaia dello scalo. Lo accompagnarono il ministro della marina, dei trasporti, il duca e gli ammiragli. La principessa e le dame lo salutarono, la folla l’acclamò per lunghi minuti mentre i cannoni delle navi militari tuonarono all’unisono in suo onore. Su tutte le navi compreso il transatlantico al varo, salì solennemente il grande pavese. Il re non sorrise, né alle dame né alla folla, mantenne un’espressione singolare di concentrazione e di pensiero, guardò la nave sollevando il capo e si avviò verso la tribuna reale con passo rapido. Sua maestà salutò militarmente le autorità presenti, strinse amichevolmente la mano all’armatore e prese il suo posto al centro del palco. La cerimonia incominciò subito. Il vescovo, in paramenti solenni e mitria, diede la benedizione alla nave; la banda militare suonò un lento motivo ecclesiastico che creò un certo contrasto contraddittorio, per via di quella pia musica suonata dagli ottoni di una fanfara guerresca. Finita la benedizione fu la volta del battesimo. Il re, i duchi, l’armatore e i loro seguiti lasciarono la tribuna reale e salirono il ponte di comando sotto la prua della corazzata. Il re diede il braccio alla duchessa e l’accompagnò per il rito del battesimo. Dall'altissimo bordo della nave, pendeva una bottiglia di champagne annodata a un lungo nastro color turchino. La duchessa strinse forte la bottiglia con entrambe le mani, la sollevò e l'abbandonò, La bottiglia scese veloce per un ampio arco, urtò contro il fianco metallico del transatlantico e si infranse. La folla seguì l'ingenuo rito con una serietà profonda, in un silenzio greve. Quel rito ha da sempre un significato d'auspicio e se la bottiglia non si rompesse parrebbe a tutti che la nave nasca sotto una cattiva stella, ma si spezzò in mille frantumi e un’ovazione lunghissima ricompensò la duchessa che fece per bene il suo dovere di madrina. Il corteo reale ritornò nell'ordine in cui venne alla tribuna e il varo vero e proprio, in un religioso silenzio incominciò.

L’ingegnere del genio navale che comandò la manovra, diede i suoi ordini dall'alto del ponte sotto la prora della nave; ordini muti dati con delle bandiere: abbattimento di puntelli. Nel grande silenzio rintronarono i colpi gravi vibrati da mani invisibili. Uno dopo l'altro i puntelli giganti lasciarono il contatto con la carena; quando l'ultimo puntello cadde, due bandierine comandarono la rimozione degli ultimi scontri laterali. Liberati tutti gli scontri, la grande nave fu tenuta allo scivolo da solo due enormi gomene; la curiosità del pubblico si fece commozione, quando il comandante della manovra gridò “Taglia!”. Due operai con la scure in pugno incominciarono a vibrare terribili colpi sulle due enormi cime recidendole insieme nello stesso attimo. La nave fu pronta al varo. Fu un minuto di trepidazione intensa: tutti, senza volerlo, pensarono al disastro; nessuno riuscì a staccare lo sguardo da quella immensa mole d’acciaio, nell'attesa di afferrare il primo impercettibile movimento, nel terrore che la nave non si muovesse. Con intensa emozione il comandante gridò a gran voce l’ordine: “Ai martinetti”. E i martinetti idraulici entrarono in azione e cominciarono la loro spinta di prora. Cento mani d'ariete misteriose e invisibili premettero sulla carena; la nave si mosse; fu un fremito che tutti i settantamila avvertirono. Poi fu solo movimento: fragore di legno e catene che scivolarono lungo lo scalo in una corsa solenne verso il mare. La poppa della nave entrò in mare sollevando una nuvola d'acqua che si alzò verso il cielo. La schiuma e l'odore acre del lubrificante bruciato dall'attrito dei pattini inebriò tutti i presenti sulle tribune. Poi anche la prua entrò in mare e tutto il transatlantico restò in equilibrio, si cacciò in avanti e navigò bello a e sicuro, mentre mille piccole barchette cariche di curiosi sbucarono tra le navi ormeggiate in porto e si gettarono contro di esso, sul quel mare agitato e oleoso come piroghe di selvaggi all'arrembaggio. I marinai e gli operai allineati sul parapetto altissimo della nave agitarono le braccia come forsennati. Intanto tutte le navi militari spararono colpi a salve mentre i bastimenti fischiarono con le sirene. La gente assiepata sulle tribune applaudì e salutò con entusiasmo l’ingresso in acqua del grande transatlantico, rendendo così il giusto omaggio a tutte le persone, dal carpentiere, all’operaio, al marinaio e al progettista che contribuirono alla buona riuscita del varo.


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