Zia Assunta quando vide i lividi del nipote cercò di mettere in guardia la sorella; considerava il judo troppo pericoloso per un bambino di soli sette anni, ma la madre del piccolo Antonio gli rispose: “Non più di altri sport”. Da allora sono passati trent’anni, tanti da quando Antonio mise per la prima volta i piedi sul tatami. Oggi Antonio è un rispettabile “samurai” erede degli antichi maestri giapponesi, e tre sere a settimana ripete il suo rituale: esce di casa con la sacca sulle spalle e va al Dojo, dove al tramonto una trentina di giovani in kimono imparano a “difendersi” mantenendosi in forma. Via giacca e camicia, o tuta e berretto, ed eccolo in kimono con la cintura stretta ai fianchi salire sul tappeto chinando il capo per salutare i suoi allievi. Terminato il riscaldamento impartisce rudimenti ai novizi, per poi passare agli allenamenti personalizzati con gli altri judoka.
Per Antonio le arti marziali sono un continuo progredire con la sua personalità, un vero proprio stile di vita, ma se ripensa alla sua adolescenza sorride pensando che per molti ragazzi la passione nasce da patetiche fantasie. “Credono che dopo dieci lezioni sia possibile stendere tre persone con uno sguardo, distruggere un tavolo col taglio della mano, cavare gli occhi al nemico con due dita. Certi film, la voglia di trionfare sul bullo della scuola o il bisogno di emergere spingono a cercare cose che con le arti marziali non c'entrano”, sono le frasi che ripete continuamente ai genitori che portano in palestra i loro figli. Lui oggi è un istruttore e deve capire gli allievi, guidare, formare, trasmettere i contenuti delle arti marziali, non soltanto le tecniche. Limitarsi a incitare un bimbo perché sbatta a terra i compagni significa dargli un'immagine distorta di quello che sta facendo. Chi insegna soltanto a colpire crea atleti e persone sbagliate. Antonio non mai pensato al judo come a un'arma per lottare o sostenere risse, e crede che ormai non lo pensi più nessuno dei suoi allievi. Tutti, più o meno come lui, sono arrivati al Dojo casualmente, molti perché il dottore lo consiglia ai genitori come sport per irrobustire il bambino, ma solo il tempo dirà chi per sempre resterà in kimono rapito dalla nobile arte del judo. “Non esiste più gente che pratica con filosofia”, commenta Antonio ai suoi allievi seduti a terra. “Chi fa questo sport, adesso, lo fa come qualsiasi altro: calcio, tennis o basket che sia. Si pensa a far bene, a vincere, magari ad andare alle Olimpiadi o a conquistare un titolo italiano o mondiale che sia, ma mai a picchiarsi. Io, personalmente, non credo di aver mai litigato con nessuno in vita mia, ed è stato sicuramente un bene”.
Gli allenamenti oggi sono sospesi, ma la palestra è stracolma anche se è una calda mattina estiva. Tutti i suoi ragazzi sono con il naso rivolto alla TV appesa alla parete: ci sono le Olimpiadi e il campione italiano di Judo, ex allievo di Antonio all’età di dodici anni, sta per affrontare un fortissimo giapponese. Il nipponico sovrasta di corporatura l’italiano e un bambino lo ribattezza “Hulk”.
“Né Bruce Lee né Hulk, solo il più forte al mondo. Uno straordinario atleta. I judoka che raggiungono i più alti livelli di competizione, sono atleticamente notevoli, dotati di qualità fisiche e morali eccezionali. Un esempio”, pronuncia Antonio sorridendo. Infatti per lui l’importante e che i suoi ragazzi siano sportivi veri, in perfette condizioni fisiche, e che si allenino divertendosi con passione e professionalità. L’incontro ha inizio e l’italiano è in difficoltà, ma con una mossa inaspettata l'azzurro guadagna punti mandando in estasi la palestra.
Antonio commenta soddisfatto il meraviglioso “yuko” dell’italiano: “Il Judo è una disciplina basata sul principio dell'impiego del minimo di energia, per ottenere la maggiore efficacia, utilizzando la forza del peso dell'avversario contro se stesso… Il nostro campione in questo è mastro!”.
Saluti by kork75
