Dieci anni fa la squadra dei Pescadores navigava nei bassifondi delle classifiche delle serie minori, quella sera invece era lì a giocarsi la partita della vita: se avesse vinto, sarebbe diventata campione. James Lemon non era mai stato un sognatore, non aveva idee romantiche sul baseball, e a ben vedere né su qualsiasi altra cosa. Una palla presa al volo era per lui un lavoro, niente di più e niente di meno, una cosa che gli veniva naturale da sempre, un’attività da svolgere con estrema semplicità come andare in bicicletta o buttare la spazzatura. Quando James arrivò in California, per giocare nei Pescadores, aveva ventinove anni e una vita passata a girovagare per squadre dilettantistiche, mantenendosi cercando lavori saltuari e facendo un po' di tutto, meccanico, lavapiatti, carpentiere e alcune volte pescatore a bordo dei pescherecci Rodriguez: amava il mare. Si sedette sugli spalti del Big Fish e guardò le selezioni della rosa attendendo il suo momento. Non era l’unico semiprofessionista chiamato quel giorno, un tale di nome Andreolli, che faceva il portalettere, dava spettacolo sul monte di lancio. Andreolli, tra le risa e i plausi dei dirigenti in tribuna per via del suo aspetto, calvo e con la pancia, eliminò a uno a uno tutti i battitori presenti garantendosi il posto in squadra e i titoli sul giornale locale, “Sconosciuto italo-americano infiamma le selezioni per i Pescadores”. L’ingaggio, le parole lusinghiere del manager e la stima del coach lo lasciarono indifferente, come indifferente lo lasciò l’enorme stadio la prima volta che vi mise piede. Cinque anni prima, di fronte all’oceano, non c’era nessuno stadio e nessuna squadra di baseball. Adesso quel luogo a ridosso della spiaggia era diventata la casa dei Pescadores. James, se pur avendo giocato per anni in campetti polverosi e fatiscenti non rimase affascinato dalle moderne e capienti tribune del Big fish, né dal suo perfetto diamante, né dall’erba verde brillante, né tanto meno dal rumoroso tabellone luminoso, ma una cosa attirò la sua attenzione la prima volta che mise la divisa dei Pescadores ed entrò nel Big Fish, là, oltre il muro dei cartelloni pubblicitari si vedeva il mare e una voce interiore gli diceva: “farai grandi cose”.
James, le ricordava spesso le parole con le quali i giornalisti apostrofarono lui e i suoi compagni il giorno del loro arrivo: “buoni per la squadra di Paperino”. E si sbagliarono. Due anni di bassa classifica, poi l’inarrestabile ascesa. Il primo ad accorgersi che, quel giorno alle selezioni, stava nascendo qualcosa d’importante era stato l’allenatore: Samuel Barwon. Barwon era un anziano settantanovenne, un nonno dai baffi bianchi e dagli occhiali spessi. Il coach da giovane era stato un campione, con una media battuta altissima, vinse per quattro volte le World Series e partecipò a tre All-Stars: una carriera formidabile e a New York i suoi fuoricampo fecero la storia. Al suo ritiro diventò allenatore. Nonno Samuel, come lo chiamava la stampa, aveva passato una vita intera sulle panchine di numerose squadre ottenendo anche buoni risultati e sfiorando in tre occasioni il titolo di campione nazionale, poi, gli dissero che era giunto il momento di smettere. L’idea di farsi pagare la pensione al caldo della California a “Nonno Samuel” non andava a genio, così accettò l’invito di Alfonso Rodriguez: il proprietario dei Pescadores. Rodriguez era un armatore, aveva la più grande flotta di pescherecci della California, era uno di quegli uomini ricchi che si erano fatti da soli incominciando da zero; accecato dalla passione del baseball aveva un unico obiettivo: il titolo nazionale. Al suo arrivo a Imperial Beach, zona di confine con il Messico, lo presero per pazzo. Rodriguez prima costruì un impianto per il baseball degno di una grande città come la vicina San Diego e poi vi trasferì la squadra dei Pescadores, ma tra lui e il suo sogno c’erano di mezzo campionati minori da vincere, una folla da conquistare e uomini da convincere a credere nel suo folle progetto: come Nonno Samuel.
Il Coach Barwon li scelse lui personalmente tutti e quaranta: un arcobaleno; bianchi, neri, ispanici, colombiani, cubani, portoricani. Uomini, prima di giocatori. Scelse Artur Mc Silur, che aveva 39 anni, la faccia da spettatore, più che da atleta. Mc Silur aveva smesso di giocare cinque anni prima, ma era un suo uomo da sempre, un figlio adottivo. Era stato fuori tre anni e poi era tornato, ma mai più come quello di prima e per giunta, “vecchio”. “Perché l'ha preso?” Chiesero a Nonno Samuel e lui sorridendo ai dirigenti e al Presidente rispose: “E' la persona migliore che abbia mai conosciuto”. Mc Silur non era solo un brav’uomo, ma sparava certi fuori campo; a ogni partita la sua palla volava alta oltre il muro che divideva il Big fish dalla spiaggia e lui correva piano, come uno che già lo sa: non deve arrivare né in seconda, né in terza base, e poi a testa bassa si dirigeva verso la panca da dove era venuto prendendosi la sua dose d’appalusi. Se i Pescadores erano arrivati alla finale del titolo nazionale lo devono ai campionati vinti dai fuoricampo di Mc Silur. Barwon scelse Octavio e Raul Roca, le vere star della squadra. I Roca furono i primi giocatori che Rodriguez coprì di dollari: esterno da All-Star Octavio e lanciatore Raul. Raul era un ottimo lanciatore, ma anche un cantante hip-pop idolo di migliaia di ragazzini, e quando si presentava sul monte di lancio con la sua catena d’oro massiccio al collo dalle casse delle tribune partiva la sua hit internazionale, infiammando il diamante: “Above all things”. Nonno Samuel il giorno in cui arrivò a Imperial Beach ci credeva. I suoi ragazzi ci credevano. Tutti gli altri, no.
Samuel Barwon, non arrivò mai alla sua quarta finale per il titolo, se ne andò due anni prima e quella sera in panchina a giocarsi le World Series c’era il nuovo coach Artur Mc Silur: la persona più brava che Nonno Samuel abbia mai conosciuto. Giunti in Major, grazie a una costosa franchigia, i Pescadores vennero snobbati e tutti gli scommettitori puntavano sui Phoenix, sui Dodgers, sui Giants o sui rivali di San Diego per la vittoria della West League, ma loro arrivarono ai play-off e vincendoli si aggiudicarono la finale. A chi lo criticava per le sue scelte azzardate, Rodriguez rispondeva: “Perché investo nel baseball? Conoscete un divertimento che valga quindici miliardi di dollari? E che ti fa sognare?”. Gli spettatori lasciavano buchi sugli spalti, eppure i Pescadores avanzarono, fino al traguardo di quella sera. Sessantatremila spettatori alla gara due, secondo incasso di tutti i tempi per Boston e sulle tribune uno sparuto gruppo di tifosi giunti dalla California alzò uno striscione: “Grandfather thank you!”. Erano passati sei anni dal giorno in cui James Lemon, Andreolli e i fratelli Roca iniziarono la loro avventura californiana; anni di vittorie inseguendo il sogno di Nonno Samuel, e quella sera lo zoccolo duro dei Pescadores era lì a giocarsi la partita della vita contro i Red Sox di Boston: conducevano 3 a 2 a un passo dall’essere campioni. Ultimo inning e tutte le basi occupate, un esausto Roca si fece ribattere il lancio e lui James rapidamente analizzò il gesto del battitore e alzando lo sguardo al cielo, corse, scattò in direzione della palla come se tutto nella sua testa fosse già studiato e con la naturalezza di sempre, come pedalare o gettare la spazzatura, prese la palla al volo: battitore eliminato, Pescadores campioni.
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