The transience of the leaves in autumn, the life that peels and crumbles. The shattered memories. The faces, the stories, the overlapping, confused spaces. The blurred and blurred borders. The identity lost in the same Low Mist of the Einaudi track that serves as the main theme, the fog in the mind that obscures everything.
Oh nuit enchanteresse
Divin ravissement
Oh charming souvenir
Folle ivresse, doux reve!
Bizet sings, in the desperate and nostalgic dream of an existence that escapes and destroys itself. A house slowly empties, like the mind of its inhabitant. The traces left by the paintings put down by the walls are wounds, pieces that are missing and impossible to find and recover.
How do distant worlds communicate, forced to share physical and mental places that each one sees and experiences in his own way? Where do we meet? How do we talk to each other between the healthy and the sick? How does a music that stops on the same note go on when the record stops spinning? How does a life go on when it gets stuck in an endless and dead end loop? And above all, what do you become, who do you become when you no longer recognize yourself? Who are we for the others and who are the others for us?
With extreme refinement, intelligence, delicacy and knowledge of the facts, Florian Zeller tells the hell of Alzheimer's, bringing the viewer into the mind of those who suffer from it. The point of view of those who are totally inside and who, automatically, allows the suspension of judgment. Damnation is all-encompassing and enveloping and you feel it all under the skin. Whoever looks is and lives with the protagonist, in his intimate space, in the cage of his apartment, mirror of his mind, of which he is a hostage.
It is difficult to say whether, in this case, there is more talent in Zeller's writing or in the sublime interpretation of Anthony Hopkins who, here, is at his best and surpasses himself. Perhaps there is no competition and the author and actor are in perfect creative and emotional harmony so as to make a film a bitter and incisive masterpiece. The viewer is overrun, busy, hostage to the story as the character is a victim of the disease.
In his debut as a film director, thanks to a remarkable technical and artistic cast, Florian Zeller collects all possible nominations (with appreciation from critics and audiences) at all the most famous festivals and Awards in the world: the opposite would have been incredible.
The soundtrack is a nice touch.
Excellent film, without a shadow of a doubt.
## ITA
La caducità delle foglie in autunno, la vita che si sfoglia e si sgretola. I ricordi in frantumi. I volti, le storie, gli spazi sovrapposti, confusi. I confini sfumati e sfocati. L’identità perduta nella stessa Low Mist della traccia di Einaudi che fa da main theme, la nebbia nella mente che offusca tutto.
Oh nuit enchanteresse
Divin ravissement
Oh souvenir charmant
Folle ivresse, doux reve!
Canta Bizet, nel sogno disperato e nostalgico di un’esistenza che sfugge e si distrugge. Si svuota lentamente una casa, come la mente di chi la abita. Le tracce lasciate dai quadri messi giù dai muri sono ferite, pezzi che mancano e impossibili da ritrovare e da recuperare.
Come comunicano i mondi lontani, costretti a condividere luoghi fisici e della mente che ciascuno vede e vive a suo modo? Dove ci si incontra? Come ci si parla tra sani e malati? Come prosegue una musica che si blocca sulla stessa nota, quando il disco smette di girare? Come continua una vita quando si inceppa in un loop senza fine e senza uscita? E soprattutto, cosa si diventa, chi si diventa quando non ci si riconosce più? Chi siamo per gli atri e chi sono gli altri per noi?
Con estrema raffinatezza, intelligenza, con delicatezza e cognizione di causa, Florian Zeller racconta l’inferno dell’Alzheimer, portando lo spettatore nella mente di chi ne soffre. Il punto di vista di chi sta dentro totalmente e che, automaticamente, permette la sospensione del giudizio. La dannazione è totalizzante e avviluppante e la si percepisce tutta, sotto pelle. Chi guarda sta e vive col protagonista, nello suo spazio intimo, nella gabbia del suo appartamento, specchio della sua mente, di cui è ostaggio.
Difficile dire se, in questo caso, ci sia più talento nella scrittura di Zeller o nell’interpretazione eccelsa di Anthony Hopkins che, qui, è al suo meglio e supera se stesso. Forse non c’è gara e autore e attore sono in una perfetta sintonia creativa ed emotiva tanto da fare di un film un capolavoro amaro e incisivo. Lo spettatore è invaso, occupato, ostaggio della storia come il personaggio è vittima della malattia.
Al suo debutto alla regia cinematografica, grazie a un cast tecnico e artistico notevolissimo, Florian Zeller, incassa tutte le candidature possibili (con apprezzamento di critica e pubblico) a tutti i festival e gli Awards più noti nel mondo: sarebbe stato incredibile il contrario.
La colonna sonora è un tocco di classe.
Film eccellente, senza ombra di dubbio.