7 minutes, Michele Placido, 2016
The social issues of the female working class, the rights to be defended at any cost (but what cost and to what extent?), The responsibility of individuals in favor of groups. The collective actions that make the great giants tremble, the system that does not exist because it is the sum of the individualities.
Inspired by true facts, Stefano Massini's screenplay in Michele Placido's film (before that, a theatrical show directed by Alessandro Gassman) in the form of a one-location movie puts the viewer - together with the protagonists - in front of unanswered questions. Doubts of moral ethics and civil and social responsibility. Employers vs workers, society vs the individual, the personal good vs the common good.
Wuld you have done?
Thus the mechanism of the court is set in motion: a fact, the defense, the accusation, the theses with supporting arguments, the jury, the debate, the verdict.
All very interesting, very delicate themes, always open questions, always evolving answers and stories that teach but not always and never enough.
Having said that, Placido, however, crosses over and in the second part of the film the sermons multiply, the paternalistic monologues of the protagonists take on such falsely moralistic connotations, which are annoying. You can feel - in disguise - almost the desire (of the director and also of the writer) to make judgments from above, without getting your hands dirty and the mood of superhero 'woke' takes away credibility from what you say and listen to. To give the final blow is the conclusion with the pompous epic tones and the appearance of a tambourine that accompanies mass scenes, from the Taranta night, which seem to betray Placido's will to emphasize his Apulian origins. All noticeably out of context. The reason for the artistic choice - inevitably debatable - is not known.
Beautiful music by Paolo Buonvino. The interpretations - except for some peaks - always leave a sense of incompleteness and superficiality in the approach of the actresses, actors and director to the text and motivation of the story. But this - alas - is a flaw that is the common thread in many contemporary Italian cinema productions (even the unsuspected ones).
ITA
7 minuti, Michele Placido, 2016
I temi sociali della classe operaia femminile, i diritti da difendere ad ogni costo (ma che costo e fino a che punto?), la responsabilità dei singoli a favore dei gruppi. Le azioni collettive che fanno tremare i grandi colossi, il sistema che non esiste perché è la somma delle individualità.
Ispirato a fatti veri, la sceneggiatura di Stefano Massini nel film di Michele Placido (prima ancora, spettacolo teatrale con la regia di Alessandro Gassman) nella forma di one-location movie mette lo spettatore – assieme alle protagoniste - di fronte alle domande senza risposta. Dubbi di etica morale e di responsabilità civile e sociale. I datori vs gli operai, la società vs l’individuo, il bene personale vs il bene comune.
‘Voi cosa avreste fatto?’
Si mette in moto così il meccanismo del tribunale: un fatto, la difesa, l’accusa, le tesi con argomentazioni a supporto, la giuria, il dibattito, il verdetto.
Tutto molto interessante, temi molto delicati, questioni sempre aperte, risposte sempre in divenire e storie che insegnano ma non sempre e mai abbastanza.
Ciò detto, Placido, però, sconfina e nella seconda parte del film i predicozzi si moltiplicano, i monologhi paternalistici delle protagoniste assumono connotazioni così falsamente moralistiche, che danno noia. Si avverte – sotto mentite spoglie – quasi il desiderio (del regista e anche dello scrittore) di dare giudizi dall’alto, senza sporcarsi le mani e il mood del ‘woke’ da supereroi sottrae credibilità a quello che si dice e si ascolta. A dare la batosta finale è la conclusione dai pomposi toni epici e la comparsa di un tamburello che accompagna scene di massa, da notte della Taranta, che sembrano tradire la volontà di Placido di sottolineare le sue origini pugliesi. Tutto notevolmente fuori contesto. Il perché della scelta artistica - inevitabilmente discutile - non è dato saperlo.
Belle le musiche di Paolo Buonvino. Le interpretazioni – salvo alcuni picchi – lasciano sempre un senso di incompletezza e superficialità nell’approccio delle attrici, degli attori e del regista al testo e alla motivazione del racconto. Ma questa – ahimè – è una pecca che fa da fil rouge a molte produzioni del cinema italiano contemporaneo (anche quelle insospettabili).