Crêuza de mä

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Crêuza de mä as a turning point in Italian popular music, as a foretaste experience of the "world" wave (or ethnic, if you like), but above all as a parable of the journey of dialogue between the peoples of the globe. It was 1984 when, Fabrizio De Andrè and Mauro Pagani (violinist, multi-instrumentist and composer already in the Premiata Forneria Marconi), published that record revealing themselves as two travellers or rather two explorers: theirs was a passionate immersion in the sounds and traditions of a Mediterranean that they had loved and read voraciously in the pages of a thousand books. The title of the album, and the opening song, takes up a term that means Mulattiera di mare, that is the small road that, precisely, led to the sea, although also on the term and on the real meaning of the term "Crêuza" there are various interpretations. The attack, now very recognizable, brought to the ears of millions of people the Macedonian Gaida, a sort of bagpipes that gives the song a hand. A record built around that never removed language of childhood that is the Ligurian dialect of the singer-songwriter De Andrè, a record of a passionate search for roots, womb, origins. Not only are the seven songs written in Genoese, but every sound and instrument on the record belongs to the musical heritage of the Mediterranean. Supported by Mauro Pagani, Fabrizio De Andrè managed to create a mixture of words, melodies, landscapes and truly extraordinary sound. Not even a comma of Crêuza de mä has the cold, place-like flavour of remade folklore. Evidently, the miraculous link between the great Mediterranean musical unconscious and its transposition into song form has been identified with precision and love by the Pagani-De Andrè couple. The album is full of "dittonghi", redundant with vowels and long sounds, the Genoese sung by De Andrè blends inextricably with the sinuous, swaying sounds of ethnic instruments by breath and strings until it creates a perfect alloy, amber, Arab dream. Sounds without haste, from the sea and from heaven, sounds from a long journey. So you have to grasp the reason for this disk between one digression and another.  The Genoese have been a people of wanderers for centuries. Wherever they have gone and wherever they go today, they always meet, talk, ideally return to Genoa. They were extraordinary travellers and merchants, but when they arrived in any Mediterranean canton they did not ask for land or fortresses, but only the freedom to trade, to and to continue their journey: a bit like the Phoenicians or like all sea peoples.  In contrast to the people of dry land, birds of prey, rulers, who divided the land, thought only of marking the limits of property, they looked to the horizon at their sea or The "Mare nostrum" as a metaphor for freedom, the circulation of ideas and men. De Andrè decided to take the liberty of experimenting with a new sound, never had bouzouki been played as a solo instrument, and to use the ancient Ligurian language.  The language of the "dream" as the singer-songwriter calls it, a Genoese dialect that had assumed Arabic-Turkish characteristics. Nor did an album come out that today we will define out of the market, and that, instead, has become a classic, appreciated both in Italy and abroad.

ITA

Crêuza de mä

Crêuza de mä come disco di svolta nella musica popolare italiana, come esperienza anticipatrice dell’ondata “world” (o etnica, che dir si voglia), ma soprattutto come parabola del viaggio di dialogo tra i popoli del globo. Era il 1984 quando, Fabrizio De Andrè e Mauro Pagani (violinista, polistrumentista e compositore già nella Premiata Forneria Marconi), pubblicarono quel disco rivelandosi due viaggiatori o meglio due esploratori: la loro fu un’immersione passionale nei suoni e nelle tradizioni di un Mediterraneo che avevano amato e letto voracemente nelle pagine di mille libri. Il titolo dell’album, e della canzone d’apertura, riprende un termine che significa Mulattiera di mare, ovvero quella stradina che, appunto, portava verso il mare, sebbene anche sul termine e sul reale significato del termine "Crêuza" ci siano svariate interpretazioni. L'attacco, ormai divenuto riconoscibilissimo, ha portato all'orecchio di milioni di persone la Gaida macedone, una sorta di cornamusa che dà il la alla canzone. Un disco costruito attorno a quella mai rimossa lingua dell'infanzia che è il dialetto ligure del cantautore De Andrè, un disco di appassionata ricerca di radici, di grembo, di origini. Non solo le sette canzoni sono scritte in genovese, ma ogni suono e ogni strumento del disco appartengono al patrimonio musicale del Mediterraneo. Assecondato da Mauro Pagani, Fabrizio De Andrè riuscì a creare un impasto di parole, melodie, di paesaggi e di sonorità davvero straordinario. Nemmeno una virgola di Crêuza de mä ha il sapore freddino e posticcio della del folklore rifatto. Evidentemente il miracoloso nesso tra il grande inconscio musicale mediterraneo e la sua trasposizione in forma di canzone è stato individuato con precisione e amore dalla coppia Pagani-De Andrè. L’album è ricco di dittonghi, ridondante di vocali e di suoni lunghi, il genovese cantato da De Andrè si fonde inestricabilmente con le sonorità sinuose, ondeggianti degli strumenti etnici a fiato e a corde, fino a creare una lega perfetta, ambrata, da sogno arabo. Suoni senza fretta, da mare e da cielo, suoni da lungo viaggio. Così bisogna cogliere il perché di questo disco tra una divagazione e l'altra.  I genovesi sono stati per secoli un popolo di viandanti. Dovunque siano andati e dovunque vadano oggi, si ritrovano sempre, si parlano, tornano idealmente a Genova. Furono viaggiatori e mercanti straordinari, ma quando arrivavano in qualunque cantone del Mediterraneo non chiedevano terreni o fortezze, ma solo la libertà di commerciare, di e di continuare il loro viaggio: un po' come i fenici o come tutti i popoli di mare.  Esattamente all'opposto dei popoli di terra ferma, rapaci, dominatori, che dividevano la terra, pensavano solo a segnare i limiti delle proprietà, loro guardavano all’orizzonte al loro mare o Il “Mare nostrum” come metafora di libertà, di circolazione di idee e di uomini. De Andrè decise di prendersi la libertà di sperimentare nuove sonorità, mai il bouzouki era stato suonato come strumento solistico, e di usare l’antica lingua ligure.  La lingua del “sogno” come la definisce il cantautore, un dialetto genovese che aveva assunto caratteristiche arabo-turche. Né uscì un album che oggi definiremo fuori mercato, e che, invece, è diventato un classico, apprezzato sia in Italia che all'estero.

Creuza de mä (1984)

Tracce

1 - Creuza de mä
2 - Jamin-a
3 - Sidun
4 - Sinan capudàn pascià
5 - 'A pittima 
6 - A dumenega 
7 - Da a me riva 

Crêuza de mä

Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu
ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
a a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria.
E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
int’à cä du Dria che u nu l’è mainà
gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l’ä
figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun.
E a ‘ste panse veue cose che daià
cose da beive, cose da mangiä
frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin
lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi.
E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä.

Crêuza de mä


Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov’è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l’asino c’è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido
usciamo dal mare per asciugare le ossa dall’Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra.
E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell’Andrea che non è marinaio
gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l’ala
ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo.
E a queste pance vuote cosa gli darà
cosa da bere, cosa da mangiare
frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervelle di agnello nello stesso vino
lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole.
E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare

 

Fonti e approfondimenti:

https://en.wikipedia.org/wiki/Cr%C3%AAuza_de_m%C3%A4

http://www.fabriziodeandre.it/

 

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